martes, 6 de septiembre de 2011
GMG-IMPRESSIONI
Scendere nell'immenso aeroporto di Barajas può sembrare una cosa insignificante per chi viaggia spesso. Dicono che l'aeroporto di Chicago, negli Stati Uniti, è gigantesco.Non lo so. Ma atterrare a Barajas dice molto di più per uno che è nato in questa parte del mondo. E' toccare una terra con la quale siamo stati vincolati per moltissimi anni.
Ci sono ancora quelli, che per poter vivere devono essere sempre arrabbiati con qualcuno, che si lamentano del fatto che abbiamo ereditato la loro lingua e perduto quella originale.
Che cosa sarà mai originale? L'indoeuropeo mi sembra più originale del castigliano ma nessuno si lamenta che alcuni scellerati l'abbiano dimenticato. Noi siamo chi siamo oggi. E arrivare a Madrid per condividere la fede con milioni di giovani ha un significato eloquente.
Questo è quello che ha significato per me camminare per l'aeroporto di Barajas. Uscire ed incontrare quelle colline castigliane schizzanti di ulivi, immaginando quanto si è vissuto e quanto si é detto.
Pensando ai lunghi e caldi cammini di Santa Teresa, o all'audacia di San Giovanni della Croce. Contemplando l'errante cammino di San Giovanni d'Avila o di San Pietro di Alcàntara. Pensando ancora di più ai sogni fantasiosi di Lope de Vega o di Miguel de Cervantes-un'altra faccia del mio essere.Molto differente -ma intima- a quell'esperienza che ho vissuto quando calpestai le terre messicane e capii senza volerlo ciò che significava per la mia storia personale la cultura "candelaria" del nord-ovest argentino, in contrasto con le aree azteche di quelle terre tanto benedette.
Ora ho vissuto l'altra parte del mio essere, quella che si esprime nella lingua e nella scrittura e che mi dice più di qualsiasi lingua. Molto bello il francese e che piacere ascoltarlo, simpatico l'inglese, comunicatore dei giovani di tutte le parti del mondo. Silenzioso il tedesco , che quelli di quella patria sembravano voler zittire.Non hanno detto neanche una parola. Ma niente è paragonabile al proprio idioma, no? Vi siete resi conto di ciò che siamo stati, o no?Forse no.Eravamo i vincitori! Perfino il papa ha parlato nella nostra lingua. Mi ha sorpreso Vincenzo che dalla sua Italia natale parla come un argentino. Mi sono sentito solidario con Giovanni che si sforzava a capirmi e a insegnarmi qualche vocabolo italiano per far sì che io potessi esprimermi. Volevo a tutti i costi incontrare i coreani perchè in quella strana lingua avevo imparato a dire "no" (anià) e "sì" (dé).No li ho incontrati.Li ho confusi con dei laosiani. Beh diciamo che c'ero quasi arrivato! Nella cartina ho scoperto che è il paese vicino a quello dei coreani.
Che soddisfazioni scoprire tutte queste differenze.La lingua dice molto più dei suoi vocaboli. Parla del modo di comprendere la vita e dell'accento delle cose a cui diamo importanza. Lingue più sintetiche e concrete.Lingue più ricche ed espressive.Lingue di pochi vocaboli ma molto significativi. E così tutte. E noi? Io sono contento.Ho incontrato in Spagna molte parole che uso e che qui in Argentina, le generazioni giovani non usano. Quello che mi piace della mia lingua è che posso esprimermi di più! Posso dire di più con sfumature sottili che sono comprese da chi mi ascolta. Così come i fantastici quadri del Museo del Prado,sottili tratti, delicati vestiti, suggestive trasparenze. Chiaro e scuro sfumati da insinuanti ombre. Così io sento che ci esprimevamo. Chi legge forse si starà domandando dove voglio arrivare. Non è un intervento linguistico. E' un'esperienza vitale di gran ricchezza.Mi sento felice di potermi esprimere sempre e molto. Ed ho la sensazione che chi usa le lingue con meno parole ,nell'essere tanto concreo, si perdi i fantastici colori della vita.Ma probabilmente è solo una sensazione.
Grazie,Signore, per avermi fatto vivere una Pentecoste appassionante!
Molte lingue ed un solo cuore.Molte espressioni ed una sola anima.
Moltissime storie ed una sola fede.
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